libertà negativa, libertà positiva, azione diretta, pacifismo attivo

Isaiah Berlin nel 1958, per il discorso di insediamento all’Università di Oxford, propose una distinzione fra libertà negativa e libertà positiva. La prima è intesa nel senso di non subire interferenze da altri. La seconda nel senso di essere padroni di sè stessi, voler essere “un soggetto e non un oggetto”. Berlin è un filosofo liberale e tende a risolvere la questione della libertà legandola all’individuo, e distinguendola nettamente da altri concetti come uguaglianza e giustizia sociale: “liberty is liberty, not equality or fairness or justice or culture, or human happiness or a quiet conscience”.

Murray Bookchin nel 1978 si propone invece di applicare il concetto di libertà positiva alla comunità e non all’individuo singolo, una libertà costruita “su linee socialiste”. Bookchin traccia le origini delle due parole inglesi “liberty” e “freedom”. La prima (dal latino libertas) proviene dalla cultura romana, e indicava la libertà dei ricchi di fare tutto ciò che volevano senza essere disturbati da nessuno, la visione di libertà individuale del liberismo di oggi.

“Freedom” invece ha origini germaniche (Freiheit) ed è originariamente legato ad una libertà condivisa da tutti i membri di una comunità.

In inglese Bookchin usa il termine “communalism” per definire una auspicabile società auto organizzata. In italiano ultimamente si usa il termine “confederalismo democratico” per definire l’esperimento sociale in atto in Kurdistan, basato sulle teorie di Bookchin rielaborate da Ocalan e messe in pratica nell’ultimo ventennio.

In Europa le idee di Bookchin e di Ocalan non sono state applicate, se non nelle pratiche della solidarietà internazionale nata, in Italia, all’interno dei posti occupati e delle autogestioni. Al contrario di ciò che accade in Kurdistan, in Cile o in altre parti del mondo, sul suolo europeo il tema della libertà positiva collettiva non ha una vera diffusione nel più ampio dibattito pubblico.

Euno è un progetto che si propone di portare al centro del dibattito politico il tema dell’autogestione sociale ed economica a partire dai Comuni italiani. I metodi sono ispirati al concetto di libertà positiva collettiva, che si realizza attraverso l’azione diretta quotidiana. In questo senso si può parlare di pacifismo attivo: la pace sociale si costruisce ogni giorno, e va imposta a chi cerca di imporre a tutti la propria volontà in campo economico, accumulando per sè i ricavi di servizi essenziali e devastando la vita delle persone con affitti costosi e prezzi delle case in aumento, lavoro sempre più sottopagato e umiliante, privatizzazione e militarizzazione dell’esistente.

Andreas Malm è un pacifista ed ecologista radicale svedese, che per anni ha predicato il pacifismo assoluto andando a protestare contro i vertici sul clima vestito da arbusto, firmando petizioni e bloccando il traffico. Dopo un decennio di attivismo si è accorto che non serviva a nulla, e decise di passare all’azione diretta.

Una sera, coordinato con un gruppo di compagni, senza dare nell’occhio, andò a sgonfiare le ruote ai Suv posteggiati nel quartiere più ricco di Stoccolma, scatenando il panico nell’élite svedese.

In questo modo i ricchi si sono resi conto dell’oscenità delle loro scelte, messe in discussione nel dibattito pubblico: come si permettevano a utilizzare macchine così dannose per l’ambiente, in un contesto urbano in cui sono assolutamente inutili se non nocive? Soltanto per fare vedere quanto sei forte? Allora io ti buco le gomme.

Nel suo recente How to Blow Up a Pipeline, Malm continua a dichiararsi pacifista ma è sempre più convinto che senza azione diretta non si conclude nulla (da cui il titolo del libro). Si interroga su “come fare a spiegare all’opinione pubblica che i gilet jaunes che distruggono le vetrine delle banche stanno agendo in senso pacifista, per protestare contro la più vasta violenza del sistema bancario?”

Quando chiede un sabotaggio diffuso, comunitario, Malm mostra di ignorare l’esperienza dei No Tav in Val di Susa, e dei No Muos a Niscemi, che hanno messo in pratica quello che definiremo pacifismo attivo attraverso l’azione diretta, il sabotaggio e la violenza diretta unicamente contro le cose e non contro le persone. Violenza contro un potere politico economico e militare che si è imposto con una ben maggiore violenza contro la volontà di una popolazione ben determinata a combattere sfruttando un ampio ventaglio di possibilità, dal sabotaggio, all’occupazione dei terreni, fino ai ricorsi in tribunale e alle delibere comunali da parte dei sindaci complici.

Questa azione congiunta (azione diretta e pressione politica) ha l’obiettivo di occupare se non il comune, almeno il dibattito politico elettorale per le comunali, senza necessariamente presentare una lista ma non ponendo limiti al divertimento.