Controllare i potenti, difendere la natura: Criptovalute e blockchain al servizio della comunità.

Con questo articolo si vuole proporre un uso sociale, ecologista, condiviso, dal basso della tecnologia alla base delle criptovalute, con particolare riferimento ai cosiddetti synthetic assets, detti anche “synthetics”.
Dopo una rapidissima introduzione su come funzionano le criptomonete e su quali sono i rischi e le distorsioni, passerò alla mia proposta di utilizzo comunitario.
Questo articolo covava da tempo ma è stato ispirato dalla discussione collettiva sul canale Telegram della Tech Workers Coalition italiana.

Introduzione
Si parla tanto di bitcoin e criptovalute, ormai a livello di massa: le più forti squadre di calcio della serie A hanno sulla maglia i simboli di aziende di criptomonete, è un mercato che vuole sfondare nella società promettendo guadagni facili.
La tecnologia alla base delle criptomonete è la blockchain: un database distribuito e trasparente, che permette a ognuno dei nodi del sistema di vedere cosa succede all’interno della rete.
I sostenitori di questa novità tecnologica e finanziaria dicono che finalmente ci si può liberare del controllo delle banche e sviluppare una economia dal basso. Ma la realtà è molto diversa.
L’economia delle criptomonete non è altro che uno schema Ponzi, una catena di Sant’antonio: chi ha comprato i bitcoin anni fa adesso ci guadagna, chi li compra oggi rischia di perdere. è una scommessa, un gioco d’azzardo. Le criptomonete infatti non sono democratiche: chi ha tanti soldi può influenzare il mercato; un nemico del popolo come Elon Musk è in grado di alterare in qualsiasi momento il mercato: gli basta investire/disinvestire su una moneta particolare e tutto il resto di piccoli ‘investitori’ subiranno perdite/guadagni totalmente slegati dalle loro scelte. Una scommessa appunto.
Negli ultimi anni sono state create centinaia di monete virtuali sull’esempio dei bitcoin. La maggior parte sono vere e proprie truffe. Adesso tocca a noi immaginare un uso nuovo per questa tecnologia che sia realmente utile a tutti e non solo a chi ha soldi e vuole arricchirsi.
Le criptovalute sono un problema anche dal punto di vista ecologico: per calcolare le varie transazioni c’è bisogno di migliaia di computer che lavorano a ritmi altissimi, e le conseguenze sul clima delle ‘fabbriche di bitcoin’ sono nefaste e documentate. Con questo articolo vogliamo invece proporre un modo per utilizzare la blockchain a difesa della natura e dell’ambiente costringendo, i sindaci, i legislatori e ipolitici a occuparsi realmente del bene comune supremo, la natura.

Syntethics: Come utilizzare la blockchain in maniera comunitaria.
Il valore delle criptomoente dipende dalla quantità di scambi: maggiore è il numero delle persone che comprano e scambiano una particolare moneta, maggiore è il valore. Oltre ai più famosi bitcoin ed Ethereum si ricorda il caso di monete nate quasi per scherzo come i Dogecoin che hanno fatto guadagnare parecchio chi ha puntato una fiche in tempi non sospetti.
In questo senso il valore dei bitcoin è solo finanziario, slegato dalla realtà.
Ma la stessa tecnologia si può applicare alla realtà attraverso un sistema chiamato synthetic assets, che consiste nell’associare il valore di una moneta a qualcosa di fisico, reale, o comunque di esterno alla blockchain.
Questo concetto viene già utilizzato ma in maniera deteriore, legando le azioni della Borsa tradizionale (stock market) al mercato dei bitcoin. Gli investitori possono comprare ‘azioni’ di aziende quotate in borsa (Apple, Sony, Juventus, qualsiasi azienda) attraverso il mercato delle criptomonete. Questa soluzione serve a chi ha grossi portafogli di criptovalute e vuole investire sul mercato tradizionale senza dover ‘estrarre’ il valore delle criptomonete dalla blockchain. I synthetic assets sono anche un modo per l’economia tradizionale di guadagnare e di ‘giocare’ nella borsa delle criptovalute.

MA COSA SUCCEDEREBBE SE SI APPLICASSE LA STESSA COSA ALLA DISTRUZIONE DELL’ECOSISTEMA?
Un esempio pratico, che potrebbe essere messo in atto da EUNO per combattere l’inquinamento in maniera efficace:
In Italia abbiamo alcune provincie ai primi posti per inquinamento a livello europeo.
I politici non riescono a eliminare questo problema perché non hanno la forza di agire sulle industrie più inquinanti o di bloccare il traffico delle automobili.
Un uso sociale ed ecologista della blockchain sarebbe quello di legare l’andamento di una particolare ‘moneta’ all’inquinamento atmosferico.
In questo modo i sindaci e i politici che non fanno nulla per contrastare l’inquinamento sarebbero costretti ad adoperarsi REALMENTE per eliminare le cause che infestano la nostra aria e l’ambiente che viviamo.
Esempio:
Una moneta legata al sindaco di milano, si potrebbe chiamare $sala (oppure $ala direttamente).
Se i valori di Pm10, Pm20 e biossido di azoto dovessero continuare a salire durante il suo mandato, verrebbe immediatamente deposto e costretto alle dimissioni,
IN QUESTO MODO LA TECNOLOGIA BLOCKCHAIN AVREBBE UN USO PRATICO E BENEFICO VERSO LA COMUNITÀ, e non utile solo ai ricchi che vogliono diventare ancora più ricchi. Più sale l’inquinamento, più sale il valore di $ala fino a un punto in cui non sarebbe più tollerabile avere un sindaco incapace di difendere la salute dei suoi cittadini.
Questa proposta è stata ispirata a questo articolo scritto dal fondatore della criptomoneta BAO, che però fa l’esempio delle precipitazioni annuali a Seattle per applicarlo alla finanza, alle assicurazioni o ad altre tecniche di dominio dall’alto.
Obiettivo di questo articolo e di EUNO in generale è quello di utilizzare le nuove tecnologie per distribuire la ricchezza e la capacità decisionale a tuta la popolazione, ispirandosi ai principi dell’anarchismo, del sindacalismo rivoluzionario e del ‘communalism’ di Bookchin.

Tutto ciò è possibile, basta spiegarlo in maniera semplice e diffondere la consapevolezza fra la popolazione, Euno NASCE CON QUESTO PRECISO SCOPO.

se non ora, quando?

libertà negativa, libertà positiva, azione diretta, pacifismo attivo

Isaiah Berlin nel 1958, per il discorso di insediamento all’Università di Oxford, propose una distinzione fra libertà negativa e libertà positiva. La prima è intesa nel senso di non subire interferenze da altri. La seconda nel senso di essere padroni di sè stessi, voler essere “un soggetto e non un oggetto”. Berlin è un filosofo liberale e tende a risolvere la questione della libertà legandola all’individuo, e distinguendola nettamente da altri concetti come uguaglianza e giustizia sociale: “liberty is liberty, not equality or fairness or justice or culture, or human happiness or a quiet conscience”.

Murray Bookchin nel 1978 si propone invece di applicare il concetto di libertà positiva alla comunità e non all’individuo singolo, una libertà costruita “su linee socialiste”. Bookchin traccia le origini delle due parole inglesi “liberty” e “freedom”. La prima (dal latino libertas) proviene dalla cultura romana, e indicava la libertà dei ricchi di fare tutto ciò che volevano senza essere disturbati da nessuno, la visione di libertà individuale del liberismo di oggi.

“Freedom” invece ha origini germaniche (Freiheit) ed è originariamente legato ad una libertà condivisa da tutti i membri di una comunità.

In inglese Bookchin usa il termine “communalism” per definire una auspicabile società auto organizzata. In italiano ultimamente si usa il termine “confederalismo democratico” per definire l’esperimento sociale in atto in Kurdistan, basato sulle teorie di Bookchin rielaborate da Ocalan e messe in pratica nell’ultimo ventennio.

In Europa le idee di Bookchin e di Ocalan non sono state applicate, se non nelle pratiche della solidarietà internazionale nata, in Italia, all’interno dei posti occupati e delle autogestioni. Al contrario di ciò che accade in Kurdistan, in Cile o in altre parti del mondo, sul suolo europeo il tema della libertà positiva collettiva non ha una vera diffusione nel più ampio dibattito pubblico.

Euno è un progetto che si propone di portare al centro del dibattito politico il tema dell’autogestione sociale ed economica a partire dai Comuni italiani. I metodi sono ispirati al concetto di libertà positiva collettiva, che si realizza attraverso l’azione diretta quotidiana. In questo senso si può parlare di pacifismo attivo: la pace sociale si costruisce ogni giorno, e va imposta a chi cerca di imporre a tutti la propria volontà in campo economico, accumulando per sè i ricavi di servizi essenziali e devastando la vita delle persone con affitti costosi e prezzi delle case in aumento, lavoro sempre più sottopagato e umiliante, privatizzazione e militarizzazione dell’esistente.

Andreas Malm è un pacifista ed ecologista radicale svedese, che per anni ha predicato il pacifismo assoluto andando a protestare contro i vertici sul clima vestito da arbusto, firmando petizioni e bloccando il traffico. Dopo un decennio di attivismo si è accorto che non serviva a nulla, e decise di passare all’azione diretta.

Una sera, coordinato con un gruppo di compagni, senza dare nell’occhio, andò a sgonfiare le ruote ai Suv posteggiati nel quartiere più ricco di Stoccolma, scatenando il panico nell’élite svedese.

In questo modo i ricchi si sono resi conto dell’oscenità delle loro scelte, messe in discussione nel dibattito pubblico: come si permettevano a utilizzare macchine così dannose per l’ambiente, in un contesto urbano in cui sono assolutamente inutili se non nocive? Soltanto per fare vedere quanto sei forte? Allora io ti buco le gomme.

Nel suo recente How to Blow Up a Pipeline, Malm continua a dichiararsi pacifista ma è sempre più convinto che senza azione diretta non si conclude nulla (da cui il titolo del libro). Si interroga su “come fare a spiegare all’opinione pubblica che i gilet jaunes che distruggono le vetrine delle banche stanno agendo in senso pacifista, per protestare contro la più vasta violenza del sistema bancario?”

Quando chiede un sabotaggio diffuso, comunitario, Malm mostra di ignorare l’esperienza dei No Tav in Val di Susa, e dei No Muos a Niscemi, che hanno messo in pratica quello che definiremo pacifismo attivo attraverso l’azione diretta, il sabotaggio e la violenza diretta unicamente contro le cose e non contro le persone. Violenza contro un potere politico economico e militare che si è imposto con una ben maggiore violenza contro la volontà di una popolazione ben determinata a combattere sfruttando un ampio ventaglio di possibilità, dal sabotaggio, all’occupazione dei terreni, fino ai ricorsi in tribunale e alle delibere comunali da parte dei sindaci complici.

Questa azione congiunta (azione diretta e pressione politica) ha l’obiettivo di occupare se non il comune, almeno il dibattito politico elettorale per le comunali, senza necessariamente presentare una lista ma non ponendo limiti al divertimento.

 

 

contro Airbnb vota Bookchin alle elezioni comunali

La politica parlamentare italiana è fatta di varie sfumature di destra. Non è ipotizzabile nulla che possa migliorare quell’assemblea .

Al contrario, i comuni italiani gestiscono la vita della comunità nei suoi aspetti più immediati, e i consigli comunali coi sindaci hanno il potere di autorizzare o meno un’opera pericolosa per l’ambiente, o di vietare gli assembramenti dopo una certa ora, o di avere un atteggiamento più o meno severo verso le occupazioni sociali e abitative. Gli esempi sono tanti e li viviamo ogni giorno.

In questo senso il comune va visto come la cellula organizzativa da cui partire per orientare un cambiamento della vita cittadina attraverso l’autogestione. Una proposta politica ispirata al confederalismo democratico suggerito da Bookchin e rielaborato e messo in pratica da Ocalan.

Il primo obiettivo è quello di esercitare una sovranità economica in grado di difendere la cittadinanza dal grande capitale privato e dai suoi interessi che vanno contro la collettività. Troppo spesso sindaci compiacenti cedono ai grandi investitori parti importanti di capitale artistico, storico, demaniale, socioculturale e soprattutto ambientale. Pochi i vantaggi per la cittadinanza, e pochi soprattutto per le casse del comune, a tutto vantaggio di chi i soldi li ha già, e tanti. Questo è un punto centrale: i soldi.

Bisogna chiedersi: perché dobbiamo cedere parte del capitale collettivo ad aziende come Airbnb o Booking per il turismo; Telecom per i dati; Apcoa per il suolo pubblico e le strisce blu?

La verità è che non ce n’è più bisogno.

I comuni italiani gestiscono servizi, digitali e non, che, se sviluppati, potrebbero sostituire queste grandi aziende nella gestione di alcuni settori specifici.

Il turismo in primis. Airbnb distrugge il tessuto sociale ed economico delle città, è accaduto in tutto il mondo e sta accadendo sempre più in Italia.

Seguendo i principi delineati da Bookchin, Euno propone di sostituire ad Airbnb un servizio digitale comunale autogestito, i cui guadagni andrebbero direttamente alla cittadinanza. Un progetto che è in fase di definizione e che è aperto alla discussione con tutti coloro che conoscono questi temi e condividono questo approccio.

Euno è il nome di uno schiavo che guidò una rivolta contro i padroni in Sicilia ai tempi dell’Impero Romano. Spezzò le catene  e provò a costruire una società più giusta eliminando il problema alla radice. Euno oggi vuole proporre alla collettività la stessa idea. È possibile liberarsi dalle catene se si agisce insieme.

Sfruttare la risonanza mediatica di una campagna elettorale comunale significa immettere nel dibattito pubblico i temi dell’ecologismo radicale e del communalism di Bookchin, utilizzando le conoscenze maturate negli ultimi trent’anni di esperienze di autogestione e auto-organizzazione dal basso in Italia.

Se non ora, quando?

 

Hanno distrutto le città, devono pagare tutto. da Milano a Palermo, Airbnb e gli altri corrono ai ripari ma la loro elemosina non basta.

L’Italia è uno dei paesi con la più alta percentuale di proprietari di case in Europa, un fenomeno frutto del capitale accumulato dalle famiglie italiane durante il boom economico ed edilizio del dopoguerra.

Airbnb, Booking e tutte le altre multinazionali degli affitti brevi hanno gioco facile in un paese in cui i giovani faticano a trovare lavoro e quindi a pagare l’affitto, e i proprietari di case preferiscono affidarsi ai grandi gruppi in grado di attirare i turisti portati in massa dalle low cost, che pagano tanto e non hanno le giuste pretese degli inquilini a lungo termine.

Il mercato immobiliare è drogato da questo meccanismo, e la gente se ne accorge, e in tante città europee Airbnb è disprezzata. Per questo, da Milano a Palermo, i grandi gruppi offrono desolanti silenzi, patetiche scuse o insopportabili elemosine.

Nel 2020 perfino l’assessore all’Urbanistica del Comune di Milano, Pierfrancesco Maran ha detto che Milano forse non può permettersi Airbnb, mostrando dati a supporto del fatto che questo modello di città porterà a un aumento ulteriore dei prezzi delle case nel futro.

Siamo a Milano, quindi il livello del dibattito è sofisticato, con interventi di assessore, sindaco, amministratori delegati, urbanisti, startupper. Ma il risultato è deludente:

 

nessuna imposizione! come a dire: “fate pure come volete!” Campa cavallo!

Non si sa cosa ha risposto Airbnb alle parole di Sala, probabilmente hanno riso.

A Palermo invece Airbnb ha cercato di coinvolgere quella parte di città interessata alla “riqualificazione sociale” del centro storico, che spesso coincide coi proprietari di case del centro che si affidano a Airbnb. L’azienda americana voleva contribuire economicamente alla realizzazione di un progetto scelto di concerto coi proprietari di casa.

A dimostrazione della patina sociale che si voleva dare al progetto, la scelta del luogo dell’incontro: l’oratorio di Santa Chiara, a Ballarò, cuore dell’associazionismo e dell’assistenza in un quartiere popolare e multietnico.

I vari proprietari ascoltarono la proposta di Airbnb e proposero alcuni progetti di riqualificazione. Ne venne scelto uno, il più inutile ma nella location più significativa: ripristinare un edificio storico, adibito attualmente a discarica, sul quale campeggia un murale di San Benedetto il Moro piuttosto noto in città e fuori.

spunta un triciclo dalla montagna di munnizza pietosamente nascosta dal santo nero siciliano, che in vita, figlio di schiavi, lavorava nelle cucine e da santo si ritrova ancora vicino ai rifiuti e agli scarti.

La somma offerta da Airbnb è di appena ventimila euro, coi quali a malapena pulisci la struttura, a prima vista fortemente ammalorata.

È una presa in giro bella e buona, che non sortisce alcun effetto ma che avrebbe l’intento di mostrare Airbnb come vicina alla città. Bugie.

E se a Milano la giunta PD denuncia i problemi pur “senza voler imporre niente a nessuno”, a Palermo al contrario Leoluca Orlando aveva tentato di impedire all’imprenditore e presidente del Palermo Dario Mirri di portare l’Ostello Bello di Milano in città, vicino al porto. La motivazione del comune (“la destinazione d’uso non è conforme al piano urbanistico”) non ha convinto i giudici del Tar che hanno dato ragione a Mirri. Ostello Bello a Palermo si può fare, nonostante sia contrario al piano urbanistico.

Ironicamente è lo stesso Ostello Bello che a Milano orienta il dialogo col comune, ospitando la presentazione di un progetto cofinanziato dalla Fondazione Cariplo condito dalle solite parole che al nord sono comprensibili, social housing, cohousing.

Questi progetti sono spesso la scusa per eliminare preziose realtà sociali operanti nei quartieri italiani. Pensiamo, proprio a Palermol alla prima storica sede dell’Ex Carcere nel quartiere Albergheria, ora residenza di lusso per studenti ricchi, del colosso Camplus. Oppure a Bologna, dove XM24 alla Bolognina è stato sgomberato con le solite promesse di social housing e cohousing molto confuse e che intanto aprono la strada ad altri investimenti, distruggendo luoghi di autogestione e crescita sociale e culturale.

veniamo al dunque

Cosa si può fare?

Come si è visto, le decisioni importanti in tal senso si prendono a livello comunale. È lì che si può agire per arginare la distruzione del territorio.

Euno è un nuovo progetto condiviso che si propone di operare in questa direzione. Utilizzando proprio quei metodi di autogestione che il capitale immobiliare intende distruggere.

 

 

Euno! per riprenderci le nostre vite!

Non è più possibile sopportare i furti che le aziende compiono contro le persone.

In un periodo di crisi, i soldi dei miliardari sono aumentati mentre la gente si impoveriva.

-È possibile combattere attivamente questo sistema e cambiarlo?

-Sì è possibile.

-Da dove cominciare?

-Da ciò che ci circonda fisicamente, cioè dalle nostre città.

Chi è che si arricchisce alle spalle delle nostre città e delle nostre vite?

Chi è che mangia sulle nostre spalle?

Euno è un progetto che intende rispondere a queste domande, trovando il modo di agire concretamente e di cambiare le cose.

-Da dove cominciare?

L’Italia è tra i paesi più attraenti nell’industria del turismo globale di massa. Le città italiane sono invase dai turisti, come le città spagnole o thailandesi o di qualsiasi altro paese.

-A chi vanno i soldi dei turisti?

Una parte va alle compagnie aeree che li portano in giro per il mondo a prezzi stracciati distruggendo il pianeta.

Una parte va ai vari comuni, attraverso la tassa di soggiorno.

Una parte va alla città, all’indotto del turismo: ristoranti, bar, musei, mostre, fiere, concerti, fino ai posteggiatori abusivi delle località di mare.

Una parte va agli alberghi e ai proprietari di case, che le affittano tramite imprese straniere come Airbnb e Booking.

Airbnb e Booking si arricchiscono e ingiustamente sottraggono un valore creato dalla comunità. I soldi vanno in California e in Olanda, vengono rubati alle persone che subiscono pure l’aumento degli affitti e dei prezzi delle case dovuti appunto al turismo. Ad approfittarne sono i pochi proprietari di case, che ci guadagnano, e soprattutto le grandi piattaforme miliardarie.

-Cosa ci danno in cambio?

Nulla. Prendono soltanto.

Questa situazione non è più tollerabile.

Euno vuole essere una risposta a questo problema, attraverso la partecipazione di tutti alla gestione del denaro che le multinazionali ci sottraggono. Bisogna spezzare queste catene.

La crisi l’hanno creata i ricchi e la devono pagare loro.